Un suggestivo viaggio indietro nel tempo quello di A Violet Pine, in quegli anni ’80 musicalmente più oscuri e meno danzerecci di quel ricco decennio, felicemente attualizzati alla modernità dei nostri giorni da questi tre ragazzi: Beppe Procida (voce, chitarra e synth), Paolo Ormas (batteria e sequencer) e Pasquale Ragnatela (basso, piano e seconda voce), dei quali ci siamo già occupati a proposito del primo album “Girl” risalente a due anni fa, che miscelano sapientemente tastiere elettroniche, chitarre taglienti, giri di basso alla Bauhaus e ritmi ossessivi e implacabili, uniti a una voce pacata e sussurrata da shoegazers narcolettici. Se il primo album era più minimalista nella sua visione elettronica, Radiohead oriented, qui ci si apre felicemente a sonorità più piene e più corpose che regalano tessiture complesse ed emozionanti superando di gran lunga la prima, nonché più che discreta, prova.
E se
New Gloves (anche singolo e video) si approccia ai Soft Cell più dark, ecco che
Have Fun è un dolce gelato, un Mottarello di candida panna canzonettistica anni ‘60 ma ricoperto, anziché di cioccolato, da una colata lavica rumorista e Devoluta di micidiale
efficacia.
Turtles, che dà il titolo all’album si avvale di un basso macinante e un finale con tastiere sibilanti e sognanti splendidamente prog,
Bright è il brano più shoegaze nella sua ritmica pacata e ipnotica quasi trip hop,
The Moon Has Been Turned Off ricorda i Cure e non può essere altrimenti quando si parla di dark anni ’80, quando invece
Lucky I’m Where Wrong ci avvolge nelle spirali del Gary Numan meno ostico, mentre la conclusiva
Why? è una ballata psiconirica di rara bellezza. Un album oscuro di grande fascinazione dove chitarre come lame taglienti lacerano le trame dei tappeti di tastiere elettroniche, ma che hanno sotto sempre una “canzone” orecchiabile come molti dei maestri di un trentennio fa ci hanno insegnato. Un piccolo capolavoro che meriterebbe di essere conosciuto e apprezzato a livello internazionale.
Maurizio Pupi Bracali