lunedì 28 dicembre 2015
Ottima recensione di "Turtles" anche su LostHighways Webmagazine, a cura di Elena Panchetti.
http://www.losthighways.it/2015/12/14/turtles-a-violet-pine/
Turtles – A violet pine
Si respira un’atmosfera nebulosa ed oscura già dalle note di apertura di Turtles, il nuovo album degli A Violet pine. Atmosfere cupe che ricordano quelle del postrock e dello shoegaze anni 80, quando, ancora, ci concedevamo il lusso di crogiolarci e perderci nella graffiante malinconia di certa musica.
Ma andiamo con ordine. Gli A Violet Pine sono un trio pugliolombardo: Giuseppe Procida (voce, chitarra), Paolo Ormas (batteria, sequencer) e Pasquale Ragnatela (basso, piano). Il loro primo album, Girl, è datato 2013.
Si parlava di atmosfere nebulose e sonorità alternative/postrock che ci accompagneranno lungo le 9 tracce dell’album. Chitarre struggenti, casse pesanti, linee vocali drammaticamente intense; se poi ci aggiungiamo pesate contaminazioni synthetiche 2.0, il risultato che ascoltiamo è particolarmente interessante.
The games ci apre la porta d’ingresso molto lentamente, tanto per metterci subito in chiaro chi saranno i compagni del viaggio; New Gloves, primo singolo, ci scuote un po’. Ci sono elementi elettronici ben amalgamati col muro sonoro oldschool; l’effetto è un pezzo orecchiabile, con aperture da far chiudere gli occhi.
La title track è degna figlia del prog: basso incalzante e potente dall’inizio alla fine (finalmente) ed una sperimentazione nella composizione raffinata e pesata.
Se volete scrollarvi un po’, ascoltatevi Have fun, lo dice anche il titolo; se invece pensate di sguazzare ancora nell’inquieto nebbione sonoro, mettete su The moon has been tured off: tastiere eighties, strofa ipnotica e le grida di una chitarra implorante larsen, che, prima del finale, esplode in un riffone-ruffiano ed affabulatore.
Gli A violet Pine sono stati coerenti dall’inzio alla fine, mantenendo una linea stilistica precisa ed evitando di cadere nella tentazione manieristica ed elettronica dello “strasuonare”.
Interessanti le contaminazioni misurate di elettronica sulla rete “classica” di chitarra-basso e batteria.
Un album maturo e compatto, orecchiabile, poco invadente, forse soltanto un po’ scarsamente riconoscibile nella marea di album postrockaddicteted degli ultimi anni. Nessun dramma però: per la caratterizzazione stilistica aspettiamo il prossimo lavoro e, nel frattempo, continuiamo a dondolarci nella postmalinconia sonora, visto che, per fortuna, ancora qualcuno ci regala questo lusso.
Ma andiamo con ordine. Gli A Violet Pine sono un trio pugliolombardo: Giuseppe Procida (voce, chitarra), Paolo Ormas (batteria, sequencer) e Pasquale Ragnatela (basso, piano). Il loro primo album, Girl, è datato 2013.
Si parlava di atmosfere nebulose e sonorità alternative/postrock che ci accompagneranno lungo le 9 tracce dell’album. Chitarre struggenti, casse pesanti, linee vocali drammaticamente intense; se poi ci aggiungiamo pesate contaminazioni synthetiche 2.0, il risultato che ascoltiamo è particolarmente interessante.
The games ci apre la porta d’ingresso molto lentamente, tanto per metterci subito in chiaro chi saranno i compagni del viaggio; New Gloves, primo singolo, ci scuote un po’. Ci sono elementi elettronici ben amalgamati col muro sonoro oldschool; l’effetto è un pezzo orecchiabile, con aperture da far chiudere gli occhi.
La title track è degna figlia del prog: basso incalzante e potente dall’inizio alla fine (finalmente) ed una sperimentazione nella composizione raffinata e pesata.
Se volete scrollarvi un po’, ascoltatevi Have fun, lo dice anche il titolo; se invece pensate di sguazzare ancora nell’inquieto nebbione sonoro, mettete su The moon has been tured off: tastiere eighties, strofa ipnotica e le grida di una chitarra implorante larsen, che, prima del finale, esplode in un riffone-ruffiano ed affabulatore.
Gli A violet Pine sono stati coerenti dall’inzio alla fine, mantenendo una linea stilistica precisa ed evitando di cadere nella tentazione manieristica ed elettronica dello “strasuonare”.
Interessanti le contaminazioni misurate di elettronica sulla rete “classica” di chitarra-basso e batteria.
Un album maturo e compatto, orecchiabile, poco invadente, forse soltanto un po’ scarsamente riconoscibile nella marea di album postrockaddicteted degli ultimi anni. Nessun dramma però: per la caratterizzazione stilistica aspettiamo il prossimo lavoro e, nel frattempo, continuiamo a dondolarci nella postmalinconia sonora, visto che, per fortuna, ancora qualcuno ci regala questo lusso.
martedì 15 dicembre 2015
"Turtles" è album del mese su Darkitalia - Webzine & Booking!!!! 8/10
http://www.darkitalia.com/reviews/album/wave/a-violet-pine-turtles/
Contaminazione, sentimento, ed una certa propensione alla sperimentazione: questi sono solo alcuni degli ingredienti che fanno parte del cocktail sonoro di “Turtles”, ultima fatica targata A Violet Pine.
I tre musicisti cercano di districarsi, con ottimi risultati, tra distinti generi musicalmente affini, non facendo mai prevalere l’uno sull’altro ma, anzi, amalgamando il tutto con una certa destrezza.
Tra le influenze dei nostri possiamo trovare sicuramente molto del post-rock, della new wave e dello shoegaze che tanto hanno caratterizzato gli anni 80 e 90, consegnando alla storia bands tra le più importanti e influenti del mondo musicale, cui tutte le “nuove leve” ne sono in un certo senso debitrici.
Le tracce che compongono il lavoro in questione risultano comunque ben distinte e riconoscibilissime; se con “The Game” o “Have Fun“, giusto per citarne alcune, affiora un indiscusso retaggio “alternativo”, la band da il meglio di se quando decide di focalizzare tutta la propria esperienza su sonorità più oniriche e “romantiche”. Un chiaro esempio di tutto ciò è la canzone che da il titolo all’album, la terza traccia “Turtles“, dal basso pulsante e le chitarre “fredde” e dilatate. Altro esempio degno di nota, la conclusiva “Why“: cadenzata, malinconica, vagamente psichedelica; una composizione che mi piace definire “da viaggio”.
Molte sono le emozioni che andremo ad abbracciare durante l’ascolto di “Turtles”, ed essenzialmente è questo quello che ci interessa provare quando abbiamo tra le mani un disco del genere, e gli A Violet Pine sono abili nel colpirci direttamente al cuore, senza orpelli di sorta od inutili artifici.
Contaminazione, sentimento, ed una certa propensione alla sperimentazione: questi sono solo alcuni degli ingredienti che fanno parte del cocktail sonoro di “Turtles”, ultima fatica targata A Violet Pine.
I tre musicisti cercano di districarsi, con ottimi risultati, tra distinti generi musicalmente affini, non facendo mai prevalere l’uno sull’altro ma, anzi, amalgamando il tutto con una certa destrezza.
Tra le influenze dei nostri possiamo trovare sicuramente molto del post-rock, della new wave e dello shoegaze che tanto hanno caratterizzato gli anni 80 e 90, consegnando alla storia bands tra le più importanti e influenti del mondo musicale, cui tutte le “nuove leve” ne sono in un certo senso debitrici.
Le tracce che compongono il lavoro in questione risultano comunque ben distinte e riconoscibilissime; se con “The Game” o “Have Fun“, giusto per citarne alcune, affiora un indiscusso retaggio “alternativo”, la band da il meglio di se quando decide di focalizzare tutta la propria esperienza su sonorità più oniriche e “romantiche”. Un chiaro esempio di tutto ciò è la canzone che da il titolo all’album, la terza traccia “Turtles“, dal basso pulsante e le chitarre “fredde” e dilatate. Altro esempio degno di nota, la conclusiva “Why“: cadenzata, malinconica, vagamente psichedelica; una composizione che mi piace definire “da viaggio”.
Molte sono le emozioni che andremo ad abbracciare durante l’ascolto di “Turtles”, ed essenzialmente è questo quello che ci interessa provare quando abbiamo tra le mani un disco del genere, e gli A Violet Pine sono abili nel colpirci direttamente al cuore, senza orpelli di sorta od inutili artifici.
"Turtles" fa breccia anche su RockGarage.it una delle bibbie rock italiane.
http://www.rockgarage.it/?p=47352
by Marcello Zinno
Gli A Violet Pine, dall’alto della
stabilità della loro line-up, tornano con un nuovo lavoro e con un nuovo
contratto discografico. Turtles viene alla luce grazie anche
alla T.a. Rock Records e allo stesso tempo spegne i riflettori su nove tracce,
questo perché sono gli ambienti oscuri che permettono di apprezzare al meglio
questo lavoro. Un album che non abbiamo timore di inserire nei meandri
vastissimi del rock ma che suona new wave con un sottofondo dark (per questo lo
abbiamo classificato come dark-wave), un pizzico di elettronica e synth che
piacerebbero ai Depeche Mode e tanta emotività. L’incipit di New Gloves è
uno dei veri outing della band, tuffandosi nel lontano passato
a nome The Cure, ma c’è da dire che l’ambient è sempre dietro la parete e bussa
forte per cercare di entrare; per (nostra) fortuna la chitarra, invece, è già
dentro la sala prove e si muove molto meglio creando partiture che hanno una
forma ben definita, allontanando il power trio da creazioni sperimentali e
inconcludenti.
Altro pregio
di Turtles è l’aspetto produttivo, in particolare della
batteria: infatti la tentazione di renderla molto ottantiana ha lasciato spazio
alla ricerca di un suono più attuale. Questa a nostro parere è una scelta
vincente, innanzitutto per differenziare gli A Violet Pine dalla miriade di
realtà che scimmiottano la new wave e relative formazioni dell’epoca, ma anche
per rendere la loro proposta più interessante per chi apprezza il rock moderno
e magari strizza l’occhio ai Placebo più introspettivi o ad un post-rock che
abbia però spessore. In Have Fun si sfiora una vena grunge, ma
poi già nella successiva Bright si ritorna all’uso di effetti
e tastiere varie per costruzioni più lisergiche che finiscono per appassionare
i fan dei Nine Inch Nails, almeno fino all’ingresso della sezione ritmica che
ci riporta ai giorni nostri. Sul finire l’album diviene più ricercato e meno
immediato, segno probabilmente di una evoluzione stilistica in corso da parte
della band e che apprezzeremo maggiormente sul prossimo album. Intanto ci
lasciamo conquistare da questo Turtles.
Ancora una spumeggiante recensione per "Turtles", questa volta sul webmag Oca Nera Rock.
A Violet Pine – Turtles
By Antonio Felline -
Due anni dopo “Girl”, gli A Violet Pine tornano con “Turtles” e subito ho l’impressione di essere tornato indietro di almeno dieci anni – la solita storia che ci fa rimpiangere epoche che non abbiamo mai vissuto.
Sebbene la partenza sia un po’ in sordina con ‘The Game’, dove comunque la voce diGiuseppe Procida progressivamente scivola in un’aria shoegaze, supportata da una chitarra tagliente, subito dopo viene quello che io ritengo il pezzo più riuscito dell’album, ‘New Gloves’.
Qui viene fuori, mano a mano, una caratteristica che attraversa tutto il disco: l’incursione di elementi differenti dalla base da cui il gruppo parte. Immaginiamo che questo trio sia come una flotta: si comprende subito qual è il porto nel quale sono approdati e teoricamente quello dal quale sono partiti: è un porto le cui navi sono, fieramente, battenti bandiera post-rock. Navi, però, che sono riuscite con destrezza ad attraversare un mare cosparso di elementi provenienti dalle sonorità più disparate, uscendone quasi rafforzate.
Nella summenzionata ‘New Gloves’, ad esempio, il basso fa assumere al pezzo un’andatura new-wave (che lascia trasparire, anche in modo piuttosto manifesto, una malcelata malinconia). Nel caso voleste una prova ancor più decisiva di quanto sostengo, passate a ‘Last Year’: il synth d’apertura non è invasivo o fuori luogo; anzi, ben si compenetra con il prosieguo del pezzo. Sembra quasi una toccata e fuga, senza mai giungere ad una vera e propria commistione di generi. Non è cosa da poco: il fatto che il frontman abbia sottomano anche il synth, oltre alla chitarra è significativo, in tal senso.
Da ‘Bright’ in poi idealmente il cerchio inizia a chiudersi: nuovamente la voce si fa compressata, lo shoegaze torna a farla da padrone, c’è un riff di synth in sottofondo, quasi in lontanza – la nebbia si fa più fitta e la temperatura non accenna a salire nemmeno nella successiva ‘Lucky When I’m Wrong’.
‘The Moon Has Been Turned Off’’ ci dà una sensazione di apparente ariosità, puntualmente smentita nella conclusiva ‘Why?’: il ritmo è più mansueto, ma quell’aleggiante tono di vaga tristezza al quale si faceva cenno adesso si manifesta in maniera quasi tale da togliere il respiro. Che volete farci?
Sono le storie tristi che rendono belle le storie, i libri, le canzoni.
Sebbene la partenza sia un po’ in sordina con ‘The Game’, dove comunque la voce diGiuseppe Procida progressivamente scivola in un’aria shoegaze, supportata da una chitarra tagliente, subito dopo viene quello che io ritengo il pezzo più riuscito dell’album, ‘New Gloves’.
Qui viene fuori, mano a mano, una caratteristica che attraversa tutto il disco: l’incursione di elementi differenti dalla base da cui il gruppo parte. Immaginiamo che questo trio sia come una flotta: si comprende subito qual è il porto nel quale sono approdati e teoricamente quello dal quale sono partiti: è un porto le cui navi sono, fieramente, battenti bandiera post-rock. Navi, però, che sono riuscite con destrezza ad attraversare un mare cosparso di elementi provenienti dalle sonorità più disparate, uscendone quasi rafforzate.
Nella summenzionata ‘New Gloves’, ad esempio, il basso fa assumere al pezzo un’andatura new-wave (che lascia trasparire, anche in modo piuttosto manifesto, una malcelata malinconia). Nel caso voleste una prova ancor più decisiva di quanto sostengo, passate a ‘Last Year’: il synth d’apertura non è invasivo o fuori luogo; anzi, ben si compenetra con il prosieguo del pezzo. Sembra quasi una toccata e fuga, senza mai giungere ad una vera e propria commistione di generi. Non è cosa da poco: il fatto che il frontman abbia sottomano anche il synth, oltre alla chitarra è significativo, in tal senso.
Da ‘Bright’ in poi idealmente il cerchio inizia a chiudersi: nuovamente la voce si fa compressata, lo shoegaze torna a farla da padrone, c’è un riff di synth in sottofondo, quasi in lontanza – la nebbia si fa più fitta e la temperatura non accenna a salire nemmeno nella successiva ‘Lucky When I’m Wrong’.
‘The Moon Has Been Turned Off’’ ci dà una sensazione di apparente ariosità, puntualmente smentita nella conclusiva ‘Why?’: il ritmo è più mansueto, ma quell’aleggiante tono di vaga tristezza al quale si faceva cenno adesso si manifesta in maniera quasi tale da togliere il respiro. Che volete farci?
Sono le storie tristi che rendono belle le storie, i libri, le canzoni.
Dalla Germania la recensione del magazine Reflection of Darkness.
http://www.reflectionsofdarkness.com/artists-a-e-cdreviews-131/16226-cd-review-a-violet-pine-turtles
In Europa "Turtles" continua a fare proseliti, estimatori e seguaci. Dalla Germania la recensione del magazine Reflection of Darkness.
Total: 7 / 10
....it is a good album. One that lacks any kind boredom while keeping a pleasing undertone that circles above , one that feeds from a variety of styles and stylistics without losing a kind of acoustic texture. A moody one, full of contrasts and blurred edges. It is a tree that yearns for light while casting shadows...
....it is a good album. One that lacks any kind boredom while keeping a pleasing undertone that circles above , one that feeds from a variety of styles and stylistics without losing a kind of acoustic texture. A moody one, full of contrasts and blurred edges. It is a tree that yearns for light while casting shadows...
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