A Violet Pine – Turtles
By Antonio Felline -
Due anni dopo “Girl”, gli A Violet Pine tornano con “Turtles” e subito ho l’impressione di essere tornato indietro di almeno dieci anni – la solita storia che ci fa rimpiangere epoche che non abbiamo mai vissuto.
Sebbene la partenza sia un po’ in sordina con ‘The Game’, dove comunque la voce diGiuseppe Procida progressivamente scivola in un’aria shoegaze, supportata da una chitarra tagliente, subito dopo viene quello che io ritengo il pezzo più riuscito dell’album, ‘New Gloves’.
Qui viene fuori, mano a mano, una caratteristica che attraversa tutto il disco: l’incursione di elementi differenti dalla base da cui il gruppo parte. Immaginiamo che questo trio sia come una flotta: si comprende subito qual è il porto nel quale sono approdati e teoricamente quello dal quale sono partiti: è un porto le cui navi sono, fieramente, battenti bandiera post-rock. Navi, però, che sono riuscite con destrezza ad attraversare un mare cosparso di elementi provenienti dalle sonorità più disparate, uscendone quasi rafforzate.
Nella summenzionata ‘New Gloves’, ad esempio, il basso fa assumere al pezzo un’andatura new-wave (che lascia trasparire, anche in modo piuttosto manifesto, una malcelata malinconia). Nel caso voleste una prova ancor più decisiva di quanto sostengo, passate a ‘Last Year’: il synth d’apertura non è invasivo o fuori luogo; anzi, ben si compenetra con il prosieguo del pezzo. Sembra quasi una toccata e fuga, senza mai giungere ad una vera e propria commistione di generi. Non è cosa da poco: il fatto che il frontman abbia sottomano anche il synth, oltre alla chitarra è significativo, in tal senso.
Da ‘Bright’ in poi idealmente il cerchio inizia a chiudersi: nuovamente la voce si fa compressata, lo shoegaze torna a farla da padrone, c’è un riff di synth in sottofondo, quasi in lontanza – la nebbia si fa più fitta e la temperatura non accenna a salire nemmeno nella successiva ‘Lucky When I’m Wrong’.
‘The Moon Has Been Turned Off’’ ci dà una sensazione di apparente ariosità, puntualmente smentita nella conclusiva ‘Why?’: il ritmo è più mansueto, ma quell’aleggiante tono di vaga tristezza al quale si faceva cenno adesso si manifesta in maniera quasi tale da togliere il respiro. Che volete farci?
Sono le storie tristi che rendono belle le storie, i libri, le canzoni.
Sebbene la partenza sia un po’ in sordina con ‘The Game’, dove comunque la voce diGiuseppe Procida progressivamente scivola in un’aria shoegaze, supportata da una chitarra tagliente, subito dopo viene quello che io ritengo il pezzo più riuscito dell’album, ‘New Gloves’.
Qui viene fuori, mano a mano, una caratteristica che attraversa tutto il disco: l’incursione di elementi differenti dalla base da cui il gruppo parte. Immaginiamo che questo trio sia come una flotta: si comprende subito qual è il porto nel quale sono approdati e teoricamente quello dal quale sono partiti: è un porto le cui navi sono, fieramente, battenti bandiera post-rock. Navi, però, che sono riuscite con destrezza ad attraversare un mare cosparso di elementi provenienti dalle sonorità più disparate, uscendone quasi rafforzate.
Nella summenzionata ‘New Gloves’, ad esempio, il basso fa assumere al pezzo un’andatura new-wave (che lascia trasparire, anche in modo piuttosto manifesto, una malcelata malinconia). Nel caso voleste una prova ancor più decisiva di quanto sostengo, passate a ‘Last Year’: il synth d’apertura non è invasivo o fuori luogo; anzi, ben si compenetra con il prosieguo del pezzo. Sembra quasi una toccata e fuga, senza mai giungere ad una vera e propria commistione di generi. Non è cosa da poco: il fatto che il frontman abbia sottomano anche il synth, oltre alla chitarra è significativo, in tal senso.
Da ‘Bright’ in poi idealmente il cerchio inizia a chiudersi: nuovamente la voce si fa compressata, lo shoegaze torna a farla da padrone, c’è un riff di synth in sottofondo, quasi in lontanza – la nebbia si fa più fitta e la temperatura non accenna a salire nemmeno nella successiva ‘Lucky When I’m Wrong’.
‘The Moon Has Been Turned Off’’ ci dà una sensazione di apparente ariosità, puntualmente smentita nella conclusiva ‘Why?’: il ritmo è più mansueto, ma quell’aleggiante tono di vaga tristezza al quale si faceva cenno adesso si manifesta in maniera quasi tale da togliere il respiro. Che volete farci?
Sono le storie tristi che rendono belle le storie, i libri, le canzoni.
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