A VIOLET PINE, un trio che mescola
post-rock,
trip-hop ed elettronica con un sottofondo dalle velate atmosfere
new wave. Un magma elettrico ed emotivo per un sound dotato di una propria definita identità che sfugge da ogni possibile categorizzazione. Hanno da poco presentato “
Girl” e questa è la nostra intervista. Buona lettura!
“A Violet Pine”, nati da un’idea di Beppe Procida e al quale si sono uniti ben presto Paolo Ormas e Pasquale Ragnatela. Un trio che ripercorre il sound della new wave, strizzando l’occhio al trip-hop e al post-rock. Quali sono le vostre esperienze artistiche precedenti e come questa gavetta ha influenzato il progetto “A Violet Pine”?
“Abbiamo tutti e tre diverse esperienze musicali alle spalle con altri vari gruppi. Paolo suonava negli
Orient Express, band devota all’ambiente stoner e shoegaze, Pasquale era il cantante ed il bassista di un gruppo grunge ed io suonavo post-rock. Nel progetto A Violet Pine abbiamo creato una sorta di comnistione di generi, aggiungendo una sfumatura, per tutti e tre nuova, che è l’elettronica”.
Il vostro esordio discografico “Girl” è frutto di un lavoro accurato, di ricerca sonora e racconto paradossale di un futuro possibile. Le sonorità cupe, intervallate dall’uso sistematico del sintetizzatore come mezzo per un distacco dalla realtà, rimandano l’ascoltatore a visioni alienanti. Ecco, cosa volete raccontare veramente con questo album? Ci sono dei riferimenti artistici che hanno influenzato l’elaborazione (letterari, cinematografici, etc)?
“L’album non ha uno scopo di raccontare qualcosa di preciso. Le interpretazione che gli si possono attribuire sono del tutto personali da parte dell’ascoltatore. Ad essere sinceri è stata una sorta di prova, di sperimentazione personale da parte nostra. I pezzi sono unicamente frutto dei nostri gusti musicali comuni, senza un significato o uno scopo ben preciso. Semplicemente ci piacevano in fase di composizione”.
Di difficile catalogazione, il vostro lavoro riesce a ricreare atmosfere degne di un fantasy giapponese in cui c’è uno scontro finale tra uomo-macchina. Ma fondamentalmente siete un gruppo rock di formazione classica (chitarra, basso, batteria): quanto vi ha aiutato l’elettronica nel vostro intento? Oggi, “l’ascoltatore medio” alla parola “elettronica” sembra capire unicamente “dubstep”: qual è lo stato di salute dell’elettronica? Voi, dentro e fuori dall’Italia, chi ascoltate?
“Forse bisognerebbe guardare l’elettronica come un elemento ormai alleato nella vita quotidiana, in questo caso della musica, e non un mezzo con cui scontrarsi. Come già detto, per noi inserire sintetizzatori e batterie elettroniche è stata una sorta di prova che fortunatamente ci è piaciuta. Ci sono molti artisti molto migliori di noi nell’uso dell’elettronica in musica anche in Italia. Gli artisti che ascoltiamo, affini all’elettronica sono ben pochi,
Massive Attack,
Radiohead,
Moby, solo per citarne alcuni”.
La copertina del vostro album è davvero molto evocativa, quasi cinematografica: vi è rappresentato un uomo seduto su una sedia, quasi abbandonato a se stesso e con un orologio nella mano destra. Ci sono tutti i segni di una disfatta, alienazione e solitudine morale. Cosa volete raccontare con questa copertina, chi ha realizzato le fotografie presenti nel libretto allegato al cd?
“In realtà la copertina, da noi è stata interpretata come un uomo che aspetta pazientemente che ciò che desidera arrivi. Qualcosa di bello, qualcosa che lo faccia stare bene. Le fotografie sono state realizzate da due amici molto validi che sono Ruggiero Scardigno e Massimiliano Dicorato, i quali hanno anche realizzato il video del singolo”.
Lavorate su materiale inedito e questo, soprattutto in Italia, denota non poco coraggio: spesso le band optano per la via delle cover a vita e vengono preferite, dai gestori di locali, ai gruppi che invece tentano di dar vita a qualcosa di proprio.
“La musica per noi è una passione, un mezzo per tirar fuori ciò che sentiamo ed esprimerci, e non un mezzo di sostentamento. Per questo perseveriamo nella cura di pezzi nostri e non ci dedichiamo alle cover. Se arriva un concerto, ben venga”.
Forse è ancora presto per parlarne: siete già al lavoro su qualcosa di nuovo? Pensate di discostarvi dall’elettronica per il vostro prossimo capitolo musicale?
“Su quest’ultima domanda ci teniamo un attimino in riserva
Grazie per l’intervista e per la vostra attenzione al nostro lavoro. Buon lavoro”.