venerdì 13 settembre 2019

A Violet Pine su RockGarage.it

Come una persona che passa mesi e mesi in palestra ad esercitare il proprio fisico e guardandosi allo specchio si vede diverso da quando ha iniziato il percorso di allenamento, così gli A Violet Pine hanno acquisito muscoli nuovi rispetto al loro passato. Li avevamo incontrati all’epoca di Turtles (di cui abbiamo parlato a questa pagina) e avevamo sentito che qualcosa, di lì in avanti, sarebbe cambiata. Avevamo parlato di “evoluzione stilistica in corso” e che l’avremo apprezzata “maggiormente sul prossimo album” ed a conferma di questo arriva Again, un album in cui le chitarre (ma in primis la loro personalità sonora) arrivano con maggiore determinazione fin dall’opener Interstellar Love. E’ il terzo album per la band ma il primo autoprodotto e sentiamo che questa è stata una scelta voluta da parte della band, magari per mettersi maggiormente a nudo e non aver timore di imboccare una strada diversa. Questo ci piace, molto. Gli A Violet Pine si sono tuffati nei meandri del rock oscuro, non lo hanno fatto voltando le spalle al passato (la vena dark resta un loro marchio di fabbrica) ma confluendo le loro energie in una natura elettrica che in Again non viene solo dalla chitarra ma anche dalle linee di basso del nuovo ingresso, Francesco Bizzoca, basso che viene fuori in più occasioni.
Run Dog, Run! ha una seconda parte che sottolinea quanto la vena introspettiva sia importante nel songwriting del power trio, però noi più ascoltiamo questo album e più sentiamo il sapore delle chitarre e ci ritornano in mente gli anni del grunge, la sei corde targatta Billy Corgan, le note ruvide e distorte, gli ampli che gracchiano. Intensa la parte strumentale di When Boys Steal Candles che sembra portarci lontano ma è solo un’altra multiforme faccia del sound targato A Violet Pine, Black Lips suona come se fosse una ballad secondo il pensiero della band, un brano in cui il cantato ha il sapore ottantiano mentre poi si sguaina una sei corde potente ed un incedere oscuro a supporto. L’album si chiude con un pezzo strumentale in cui il trio gioca con pattern e arpeggi, anche qui la moltitudine del loro mondo viene fuori, se vogliamo in modo ancora più crudo rispetto agli altri brani, un qualcosa di crudo che affascina e conquista.
Again dura 33 minuti ma la sensazione è che ci sia molta più musica rispetto a quanta l’orologio ci suggerisca, anche grazie a dei ritmi lenti che hanno il potere di entrarti dentro e crearti un’emorragia interna molto più pericolosa di quei tipici colpi heavy che ti trafiggono all’istante e poi ti lasciano agonizzante. Originali e audaci, cupi e profondi.

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